L'Atletico San Lorenzo, nel corso dei suoi ormai sette anni di vita, ha visto crescere vistosamente, accanto al numero di squadre iscritte ai vari campionati, anche il numero, e la qualità, del personale tecnico che quotidianamente allena giocatori e giocatrici rossoblu. Con la rubrica "L'osteria del pallone" diamo loro la parola: ci racconteranno le loro esperienze sportive, in campo e in panchina, i loro credo calcistici, cestistici e pallavolistici, le partite più belle che hanno disputato difendendo i nostri colori.
Oggi è il turno di Matteo Magara, attuale coach della squadra di basket maschile rossoblu. A lui la parola.
Ciao Matteo, raccontaci la tua biografia sportiva, da cestista e da coach.
Mi sono avvicinato al basket da piccolino, all’età di 4 anni infatti cominciai a giocare con il Vis Nova, una squadra storica del dilettantismo laziale, nonché una delle squadra del quartiere dove sono cresciuto, l’Esquilino.
In quella squadra ci sono rimasto per 12 anni, anni in cui ci siamo tolti veramente molte soddisfazioni. Infatti in questi 12 anni avremmo perso sì e no una decina di partite. Fino ai 13 anni abbiamo vinto tutti i campionati regionali, molti tornei nazionali, due coppe Italia giovanili (Basket for Life under 13 e under 15) fino alla storica vittoria del campionato nazionale Under 15, portando lo scudetto nella nostra bacheca. Sono stati anni bellissimi, dove in tutta Italia girava la leggenda di questa squadra di Roma, che, scapestrata, divertente, unita, portava a casa una vittoria dopo l’altra. Non ci poteva fermare veramente nessuno in tutto il paese, se non squadre che ai tornei si portavano rinforzi anche dall’estero. Tante gioie e sofferenze (legate al carico di lavoro che tutti noi affrontavamo quotidianamente) vissute sempre con lo stesso splendido gruppo. Storica la finale scudetto del 2010 a Bormio contro la Reyer Venezia, dove prima della partita, durante il discorso pre-partita ci mettemmo quasi tutti a piangere per la forte emozione di essere arrivati lì partendo da molto lontano. Storici i derby contro l’SMG Latina, partite sempre avvincenti e agguerrite, e bellissime le esperienze a Bologna, Treviso, Ferrara e altre che forse nemmeno ricordo, dove incontravamo sempre le migliori squadre, le più blasonate, e gli passavamo le scoccie. Io non ero tra i più forti, ma credo di poter dire di aver avuto un grande ruolo come “uomo spogliatoio” in quegli anni. Dopo lo scudetto i più forti sono andati in giro per l’Italia, e noi “normali” siamo rimasti al Vis Nova per un’altra stagione, e partecipammo ad un torneo internazionale a Lugano in Svizzera, dove incontrammo squadre da tutto il continente e arrivammo secondi, perdendo la finale con i fortissimi serbi dello Zeleznik.
L’anno dopo ci fu una fusione con l’Esquilino Basket, e lì trovai molti miei amici del mio liceo. Giocavamo le partite in casa con circa 200 persone ogni volta, e una curva infuocatissima che rendeva spettacolare ogni giornata del campionato Eccellenza Under 17. Momento apicale fu la partita in casa contro la Virtus Roma: il campo era sempre quello di viale Manzoni, e ricordo ancora quel 15 ottobre 2011, quando a un metro dal campo si svolgeva la manifestazione contro precarietà e crisi economica, con relativi scontri (si, quelli della camionetta bruciata in piazza San Giovanni). Con gli occhi che bruciavano ancora dai lacrimogeni, io e alcuni compagni di squadra entravamo in campo davanti un palazzetto gremito e infuocato più che mai, per poi alla fine battere i favoriti di quel campionato. Un momento storico a dir poco. Poi quell’anno a metà stagione mi fermai per un infortunio, e non tornai a giocare (ma passai a fare l’ultras in curva). L’anno successivo cominciai con Sergio Ianniello (il coach che ora ho sostituito all’Atletico), ma vari problemi fisici, e non solo, mi portarono ad allontanarmi dal campo e smettere di giocare. Ero giovane ed inesperto, ma dopo una infanzia passata ad allenarmi e giocare praticamente ogni giorno, sentivo la voglia di conoscere nuove cose. Inoltre problemi fisici mi spinsero ancor di più verso la triste scelta di smettere di giocare. Naturalmente continuai a frequentare i playground.
Proprio al playground (quello del Celio), un giorno che mi trovavo a fare i classici 3 contro 3 incontrai il mio vecchio compagno di squadra Davide Pizzardi e un giocatore dell’Atletico (Andrea Scaramuzzi) che dopo la partitella mi dissero se volevo andare a giocare con loro all’Atletico. In quel momento risposi che il fisico non me lo permetteva, e che, in realtà, la mia aspirazione era quella di allenare una squadra. Si, era un’idea che avevo sempre avuto (stare molto in panchina mi aveva aiutato a osservare bene il campo da fuori) e sentivo di avere una sorta di richiamo naturale verso quel tipo di impegno, sia perché avevo avuto un’ottima formazione sui fondamentali del basket e mi sarebbe piaciuto aiutare altri giocatori a crescere, sia perché ho sempre avuto un approccio alle cose un po' cervellotico. Morale della favola qualche settimana dopo mi chiama Sergio Ianniello e mi dice di vedersi. Tutto iniziò al Bar Celestino, dove ci accordammo sul mio ruolo come secondo allenatore. E da lì comincia la mia avventura con l’Atletico, squadra che già seguivo da prima, dato che mio fratello ci stava dentro da molto prima di me.
Un primo anno splendido, underground come piace a me, iniziando ad allenarci nel trasandato campetto di Villa Mercede per poi passare ad allenarci all’aperto ai Cavalieri di Colombo. Le prime due partite Sergio era impossibilitato ad esserci e io, senza avere nessun tesserino, allenai la squadra, mettendomi a referto come giocatore-capitano. Beh la prima partita, in casa, fu una vittoria, e quel giorno non lo dimenticherò mai, perché effettivamente non era possibile che fosse successa una cosa del genere. Infatti alla seconda prendemmo la scoccia di 30 punti, ma con la squadra più forte del girone. Sergio tornò a fare il primo, e per vari motivi, a metà stagione, prese la decisione di lasciare la squadra totalmente nelle mie mani. Anche la qualificazione alla seconda fase non la dimenticherò facilmente, nonostante una strage di infortuni, di un anno particolarmente piovoso che spesso non ci permetteva di allenarci all’aperto, le palestre affittate, i vestiti pesanti d’inverno, e anche qualche vittoria nella seconda fase. Come primo anno non potevo essere che soddisfatto.
L’estate seguente diventai ufficialmente un allenatore e potevo finalmente essere ufficialmente il primo allenatore dell’Atletico San Lorenzo.
Ci siamo rivisti a settembre, quando i ragazzi sono stati splendidi, facendo una preparazione atletica di un mese: tre allenamenti a settimana di 2 ore, 2 ore e mezzo. Un’altra faccia, un anno nuovo, che è iniziato alla grande con 8 vittorie su 8, striscia purtroppo interrottasi nella partita dell’anno, contro la Fortitudo Tirreno, anche loro primi a punteggio pieno, in una partita che stavamo controllando, fino a quando il nostro capitano Dorno non si è malamente infortunato. Nonostante questa importante perdita i ragazzi sono sempre stati al massimo delle loro potenzialità (anche se si può sempre migliorare) e abbiamo mantenuto il terzo posto fino agli spiacevoli eventi provocati dalla recente pandemia globale. Si, la mia prima stagione da primo allenatore è stata annullata per la pandemia globale, questa frase me la immagino tra un po' di anni, forse un po' mi farà ridere, anche se la situazione non è per nulla simpatica… Evidentemente gli dèi del basket ci hanno dato una chance per l’anno prossimo, in cui invece che terzi, spero saremo primi.
Qual è il coach del basket mainstream (del presente o del passato) a cui ti ispiri? Perché?
Sicuramente mi ispiro alle eccellenze del basket italiano, come Ettore Messina e Sergio Scariolo, capaci di vincere titoli NBA come secondi allenatori, e centrare tutti i maggiori obiettivi del basket che conta. Naturalmente come idea credo sia sempre meglio rifarsi al meglio che c’è. A livello americano sono sempre stato un patito di Gregg Popovich, per la sua capacità di creare un gioco di passaggi e movimento, per la sua indole anche un po' da giocherellone, nonostante la massima serietà e i titoli che ha portato a casa. Un altro che mi è sempre piaciuto, perché capace di creare i sistemi giusti sfruttando al massimo le potenzialità dei suoi giocatori, è Mike D’Antoni, sia e soprattutto per i Phoenix Suns di Steve Nash e Amare Stoudamire, ma anche per la sfrontatezza e l’innovazione con cui si è approcciato negli ultimi anni agli Houston Rockets di James Harden: azioni con tiri nei primi 7 secondi, spaziature geometriche per il tiro da tre, coraggio nel dare palloni in mano ad un alieno come Harden, perché nonostante non fosse il più bel basket da vedere, era il massimo che poteva fare. Quest’anno è arrivato addirittura a non avere più un centro (un giocatore sopra i 2 metri e dieci per intenderci) per rendere moderna e veloce la sua squadra. Da una parte un folle, dall’altra un genio senza paura di andare nella direzione che ha individuato essere quella ottimale. Per ultimo, non per importanza, Phil Jackson, capace di vincere 11 anelli con i Chicago Bulls di Jordan e i Lakers della coppia Kobe Bryant/Shaquille O’Neal. Non sono mai stato un grande fan del suo famosissimo gioco offensivo con i triangoli, più che altro ho sempre ammirato la sua capacità di gestire spogliatoi roventi ai livelli massimi, tramite anticonformismo nei metodi e tecniche miste tra lo zen e lo yoga, che faceva praticare ai suoi giocatori, e di cui sono un praticante novellino anche io (nonostante qualche volta mi lasci andare all’ira).
Al di fuori del parquet delle squadre c’è Chris Brickley, l’uomo che fa ciò che io (e molti altri) faremmo un patto col diavolo per fare, ossia l’allenatore individuale per tutti i maggiori campioni Nba; un punto di riferimento che studia i video dei giocatori al secondo per individuare quali millimetrici cambiamenti nei movimenti potrebbero portare loro giovamento, veramente un’ispirazione vedere che qualcuno sia arrivato a fare uno dei mestieri più belli che possano esistere al mondo.
Qual è il cestista più forte che hai allenato? E quello avversario che ti ha maggiormente impressionato? Il giocatore più forte con cui hai mai giocato? L'avversario più ostico da affrontare?
Non mi piace fare paragoni tra i miei giocatori, per me ognuno è forte secondo le sue potenzialità: l’importante è che uno si impegni per raggiungere quel limite, non per me, ma per sè stesso, nel basket e nella vita. Certo è che Andrea Dorno è sotto gli occhi di tutti che sia l’Antetokoumpo della Promozione, una belva fisicamente rispetto alla media di questa categoria. A mio avviso il più forte di tutto il campionato di Promozione laziale.
Un giocatore avversario che mi ha impressionato non c’è, perché se mi ha impressionato vuol dire che abbiamo difeso male noi.
Il giocatore più forte con cui abbia mai giocato è sicuramente Matteo Tambone, un play che già a 10 anni aveva una mentalità e una testa anni luce avanti tutti noi, lui era già un giocatore di 30 anni a 10 anni, non gli ho mai visto perdere una palla, sbagliare una scelta, perdere la testa. Infatti ora gioca in Serie A con Varese e si sta iniziando a ritagliare spazi importanti, anche in nazionale. Poi naturalmente c’è Pizzardi, con cui ho condiviso tanti momenti da piccoli, che rimarrà per sempre il panchinaro più forte della storia del basket (nonché un grande amico e un bravissimo secondo allenatore, visto l’infortunio, senza il quale quest’anno non avrei sicuramente avuto la lucidità di gestire tutto da solo, sia dentro che fuori dal campo quando ci confrontavamo su tutto ciò che riguardava la squadra).
Di giocatori forti ne ho marcati molti in carriera, spesso e volentieri davano l’uomo più pericoloso a me, perché il mio punto di forza era la difesa. Uno su tutti, immarcabile, era Yancarlos Rodriguez di Rieti, che ora gioca in serie A con Cantù. Le triple che mi ha sparato in faccia…
Cosa ne pensi della federazione a cui è affiliata la tua squadra (Fip)? Ritieni adeguati i provvedimenti di ciascuna federazione a sostegno delle squadre iscritte? Cosa cambieresti e cosa pensi debba fare una squadra di basket popolare all'interno delle federazioni?
Da amante dello sport non nego di credere nei campionati federali come massima espressione dello sport giocato a livello agonistico. Non per questo lo sport si limita a questa sola dimensione, anzi. Per quanto riguarda il nostro campionato, la Promozione regionale, credo che i costi siano ancora nei limiti del gestibile e l’accessibilità sia quanto meno “non troppo limitata”. Quando già si sale in Serie D, in Serie C, i costi delle iscrizioni, dei parametri, delle tasse, diventano ingestibili e accade quella cosa orribile che è la necessità di squadre che hanno vinto sportivamente sul campo, di dover fallire, e rinunciare a partecipare a tornei che si erano onestamente guadagnati. Non girando i soldi ad esempio del calcio: nel basket il movimento fa fatiche incredibili a crescere e fin quando non si andrà incontro le esigenze economiche delle società, finchè non si faranno cambiamenti ai vertici delle federazioni, dove spero arrivino persone con più freschezza mentale, più idee, più voglia di condividere e far condividere il basket, rimarrà un movimento monco e limitato. Il ruolo del basket popolare credo sia proprio questo, porsi come veicolo per dare la possibilità di giocare a livello agonistico a quei ragazzi che hanno voglia di farlo, in un contesto dove tu stesso devi metterti in gioco per far si che questo sia possibile; abbiamo inoltre il ruolo di individuare tutte le modalità per allargare l’accessibilità sia all’interno delle federazioni, sia all’esterno, con lavori nelle scuole, nei campetti e, come stiamo facendo noi del basket, creando rete con le altre realtà popolari della città, del paese e, perché no, del continente e nel mondo (come il progetto Basket Beat Borders).
Veniamo alla tua esperienza da allenatore alla guida dell'Atletico San Lorenzo: la pandemia globale in corso ha bloccato la stagione a poco più di due terzi del suo regolare svolgimento: rispetto alle premesse di inizio anno come giudichi il campionato fatto dai tuoi ragazzi?
Come detto sopra quest’anno, rispetto lo scorso anno, io credo che i ragazzi abbiano fatto dei passi in avanti da giganti. Forse alcuni di loro nemmeno se ne rendono conto, ma, quando sono arrivato l’anno scorso, alcuni avevano molte amnesie, non c'erano molti degli elementi di gioco che invece ci hanno caratterizzato quest'anno: insomma, c’erano tante lacune. Quest’anno mi hanno stupito, sia per la grande dedizione che ci hanno messo, venendo sempre o quasi ad allenarsi, sia per lo spirito e i miglioramenti che hanno dimostrato sul campo. Da che l’anno scorso mi dicevano che il problema principale era la difesa, quest’anno abbiamo avuto la media punti subiti più bassa di tutti e quattro i gironi del campionato di Promozione… non male cazzo! Li ho visti tutti più sicuri, più uniti, più dediti, con più coscienza e conoscenza di ciò che facevano e, con tutti i limiti del caso, ho provato a coinvolgere tutti proprio per fargli capire che ogni secondo in campo era importante, ogni allenamento a cui venivano aiutavano la macchina a procedere, ognuno è stato fondamentale per raggiungere gli ottimi risultati di quest’anno, e, ripeto, se Dorno non si fosse fatto male, ho la presunzione di dire che forse non ne avremmo persa nemmeno una per come si erano messe le cose. Naturalmente ora lo stop e tutto quanto il resto ci fanno fare dei salti indietro, che l’anno prossimo dovremo recuperare lavorando ancora più sodo per definire il nostro potenziale. Comunque il voto che do a tutti è 10, complimenti ragazzi!
Quale partita da coach ti è rimasta maggiormente impressa? Quali i successi che ricordi con maggiore piacere? Quale sfida rigiocheresti per ribaltare il risultato maturato allora?
Dato che sono alle prime armi sto seguendo i corsi da allenatore e uno dei formatori è anche allenatore di una squadra che abbiamo avuto nel girone quest’anno, battuta sia all’andata che al ritorno. All’andata quell’allenatore ha fatto uno show personale, urlando a tutti, compresi gli arbitri, e, una volta finita la partita, invece che stringerci la mano come si fa sempre a fine partita, se ne è andato senza salutare. Beh mi ha colpito molto, perché io, a ruoli invertiti, sarei venuto da me e al massimo mi sarei dato un buffetto, avrei fatto una battutina, ma mai mi sarei comportato in tal modo. Al ritorno non si è nemmeno presentato e ha mandato un altro allenatore che mi ha dato della “zecca di merda”… Beh io i valori dello sport li riconosco, però se gli atteggiamenti sono questi, io per queste due vittorie ci GODO COME UN RICCIO!
Ricordo con molto piacere una partita dell’anno scorso, inutile ai fini della classifica, ma dove battemmo l’Olimpia San Venanzio, una squadra secondo me allenata benissimo, molto ostica, contro cui vincemmo giocando una splendida partita a ritmi elevatissimi. Se devo essere sincero quella è stata la partita della svolta, che mi ha fatto intravedere dei miglioramenti e dei cambiamenti nel modo di giocare e di interpretare la partita da parte dei ragazzi. Oltre a questa naturalmente la striscia di 8 su 8 di quest’anno mi commuove ancora, mentre nel girone di ritorno avrei voluto ripetere la tostissima partita persa un po’ per nostri errori a Tarquinia, e lo scontro per il secondo posto ad Acilia, contro Lido di Roma, persa di misura contro un ottima squadra. Mi avrebbe fatto molto piacere vincere quella partita, perché sarebbe stata veramente una conquista, comunque abbiamo fatto la nostra partita.
Quale metodologia d'allenamento ti è più cara? Quale ritieni maggiormente efficace?
I miei allenamenti sono ancora un laboratorio in costruzione, per me ogni allenamento è a sua volta un allenamento per me, sia per gli esercizi, che per quello che devo dire in campo. Se c’è una metodologia che non vorrei abbandonare perché ti dà molto, sia sul campo, che fuori, è quella di fare una preparazione atletica seria, anche di un mese. Credo che a questi livelli fare quel periodo iniziale fatto bene equivale ad avere meno infortuni durante l’anno, a creare spogliatoio, a migliorare le prestazioni dei giocatori, ed è una possibilità per tutti di mettersi “in pari” e giocarsi le proprie chance creando le fondamenta a cui poi il giocatore deve aggiungere il palazzo.
In generale venire agli allenamenti è già fondamentale di suo, non si può pensare di far parte di una squadra senza allenarsi tutti insieme. Io cerco di mettere sempre più elementi possibili, perché il tempo è poco e le cose da fare molte e, anche su questo, ho comunque visto degli splendidi ragazzi impegnarsi a capire il mio giorco e le mie idee. Li ho visti interpretare le cose con attenzione, nonostante il poco tempo, la giocosità del progetto e della categoria che potrebbero ammorbidirci, invece no: i ragazzi hanno capito quanto sia importante allenarsi e, come ho già detto prima, probabilmente non se ne rendono conto, ma io li ho visti migliorare di allenamento in allenamento, settimana dopo settimana e, di tutte, è questa la vittoria più importante.
La tua federazione ha già decretato la sospensione dei campionati. Come ritieni si debba ripartire l'anno prossimo?
Ritengo giusta la scelta di annullare il campionato. Penso che ci sia differenza tra Promozione e campionati superiori, per questi ultimi le finezze tecnico economiche hanno un peso ben maggiore rispetto alle nostre, e se c’è una cosa di cui sono sicuro è che non dovrebbero mai e poi mai alzare le tasse, i parametri ecc... Spero solo che questa sia un'occasione per il basket di rilanciarsi, invece che chiudersi a riccio. Vorrei vedere costi di iscrizione diminuiti, progetti a lungo termine, finanziamenti e quant'altro serva a smuovere un po' un movimento che vive da qualche anno nella stagnazione più totale.
Riguardo il prossimo anno non ho un’idea specifica, spero solo che non si affrettino troppo i tempi così possiamo fare la preparazione atletica a settembre.
Per finire un augurio che ti senti di fare ai tuoi ragazzi in vista della prossima stagione.
Al trentenne come al ventenne: ragazzi non mollate un centimetro su nulla, che sia in campo o fuori. Ognuno di noi, anche quello meno dotato fisicamente o tecnicamente, può migliorare, a qualsiasi età, non vi sentiate mai arrivati perché c’è sempre uno step successivo in tutto. Soprattutto tenete la mente attiva, non la spegnete con l’indifferenza o con il deperimento, valete molto, e lo sport può solo ed esclusivamente valorizzarvi ancor di più come persone, allontanandovi da brutti pensieri, noie, tristezze che la vita ci pone davanti e dall'alienazione che la società ci richiede. Siate vivi e attivi, e non siate indifferenti!